Testi
Ti regalo la mia assenza,
che non è un addio, né una vendetta,
ma soltanto quel punto in cui si arriva
quando si è dato tutto il possibile
e si resta con le mani vuote,
a guardarle come si guarda un errore antico.
Ti ho dato ciò che avevo tra le mani,
e anche ciò che avrei voluto avere un giorno:
progetti, pezzi di futuro,
idee balbettate di felicità provvisoria.
Sono cose che non si dovrebbero mai regalare,
lo so adesso; si conservano, si proteggono,
si sfiorano appena per non rovinarle.
Ma io no: io le ho messe lì, davanti a te,
come si mettono le carte in tavola
quando ormai non si ha più voglia di bluffare.
E poi ti ho dato il mio tempo.
Quello vero, quello che costa.
Non quello riempito dalle cose da fare,
ma quello che si strappa alle occupazioni,
agli obblighi, alla stanchezza,
al desiderio di essere altrove.
Un tempo che pochi hanno visto,
che pochi hanno toccato:
tu sì, ce l’hai avuto, e non te ne sei accorto.
Te l’ho dato come si dà un libro amato,
col timore che torni rovinato
o che non torni affatto.
Ti ho donato l’affetto più sincero,
quello che nasce piano,
tra un dubbio e una sera qualunque,
tra un gesto che non si nota
e uno che non si dimentica più.
Ti ho dato la mia attenzione,
quella che nessuno chiede ma tutti vorrebbero;
la mia cura, silenziosa come certe mani di madre
che aggiustano senza farsi vedere;
il mio interesse, che non era curiosità,
ma un modo goffo e ostinato
per dirti: “Io ci sono.”
Eppure niente—niente di tutto questo
ha trovato spazio nella tua memoria.
Mi hai ascoltato come si ascoltano
le radio accese in un bar,
che parlano, cantano, raccontano,
ma nessuno capisce davvero le parole.
E io ero lì, confuso tra i rumori,
con la mia voce sommersa
dalle tue distrazioni quotidiane.
Così, senza drammi e senza proclami,
oggi ti faccio l’ultimo regalo:
quello che non pesa, quello che non chiede,
quello che non disturba.
Ti regalo la mia assenza.
La puoi mettere in un cassetto,
tra le lettere mai spedite
e le promesse dette a metà;
oppure la puoi lasciare sul tavolo,
accanto ai resti di una cena dimenticata,
che tanto non ingombra, non si vede.
Puoi tenerla o ignorarla:
so già che non cambierà nulla.
Come non hai visto la mia presenza,
non vedrai neppure la mia mancanza.
E forse è meglio così:
ci sono partenze che fanno più rumore
se qualcuno prova a trattenerle,
e io non voglio rumori, né mani tese,
né spiegazioni tirate per i capelli.
La verità è che certe persone
le perdi molto prima di lasciarle.
Le perdi nei silenzi che si allargano,
nel peso che senti sul petto
quando ti accorgi che stai parlando da solo;
le perdi quando capisci
che non c’è spazio per come sei,
né per come potresti diventare.
Così me ne vado piano,
senza sbattere porte, senza voltarmi;
e tu resterai con quello che non hai visto,
con quello che non hai voluto,
con quello che non hai saputo accogliere.
Io porterò via solo me stesso,
finalmente abbastanza leggero
da camminare senza inciampare
nei tentativi andati a